Il Comune di Roma commemora l’8 settembre (Gabriele Adinolfi)

8 Settembre, 2008 | Di | Categoria: OMNIBUS

Caro Sindaco, ora Roma festeggia anche l’otto settembre? Mi pare sia la prima volta o giù di lì; quella data ci ha talmente fatti vergognare e ci ha così squalificati nel mondo che persino i comunisti, addirittura i partigiani comunisti, ai tempi della nostra gioventù la ignoravano volutamente. Invece quest’anno leggo che l’Urbe la festeggerà! E’ vero che c’è un caldo appiccicoso che non aiuta a ragionare, che non invita a concentrarsi e che può indurre tranquillamente a prendere cantonate. Non parlo di morale, di coerenza, di fedeltà, di tutte quelle cose che oramai, a lungo andare, son divenute quisquilie insignificanti e non di certo per azioni unilaterali di origine fiuggina, ché ne abbiamo viste di capriole di ogni tipo anche da parte di chi dureggia e pureggia. Non parlo neppure di rispetto; di quel rispetto che si dovrebbe a chi ha saputo dire di no a tutte le sirene, a chi ha accettato che gli si troncasse la carriera, se non la vita, che gli si distruggesse il futuro pur di non tradire i sentimenti, la parola, l’impegno, l’onore, la cristallinità. Tanto, caro Sindaco e cari amici (o, come disse Giano Accame: cari camerati, sempre che ne sia rimasto qualcuno) quella gente è andata talmente lontano nella sua crescita interiore che anche chi di loro sia ancora vivo non si occupa di certo delle nostre misere storielle quotidiane. Non scomodo neppure la responsabilità di chi, venendo da una storia, da un mondo, da un preciso percorso, ha nei confronti sia di chi lo precedette che di chi lo seguirà; non ne parlo perché sarebbe ingiusto soffermarcisi ora che sei in ballo tu visto che la lista delle responsabilità disattese con estrema disinvoltura è lunga, ripercorsa a ritroso si scopre che ha rughe di decenni e, come già accennavo, riguarda anche, se non soprattutto, gran parte dei rodomonti duri e puri che conosciamo.
Parlo di storia e di pertinenza. Perché vedi, caro Sindaco, ci sta, istituzionalmente, che tu decida di festeggiare il 25 aprile quello dei “valori condivisi” come disse Fini (evitiamo magari di ricapitolarli questi valori tra civili massacrati sotto le bombe o dai soldati risalenti dal sud, donne stuprate, furti, violenze, esecuzioni sommarie, spoliazioni e asservimenti che determinarono quella sottomissione totale che solo noi, unico tra i popoli al mondo sottomessi, abbiamo chiamato “liberazione”; quanto siamo bravi con le parole a camuffare la realtà per guardarci allo specchio! Chissà chi ce lo avrà insegnato). Oddio, anche festeggiare istituzionalmente quella data ci sta fino a un certo punto visto che in passato alcuni sindaci (ma non di grandi città, lo ammetto) seppero listare a lutto la bandiera. Comunque non è male che per l’occasione tu abbia scelto di recarti a omaggiare quel Salvo D’Acquisto che io sempre rispettai. Magari non avrebbe stonato ricordare, sempre che tu ne fossi al corrente il che potrebbe benissimo non essere il caso, che i tedeschi dopo averlo fucilato gli resero gli onori delle armi; né era male ricordare che i partigiani, invece, non si consegnarono mai e fecero uccidere i civili, quegli ostaggi che erano (lo ricorda mai nessuno?) destinati a rappresaglia da leggi di guerra codificate dagli accordi di Ginevra. Ottima occasione purtroppo non colta per parlare degli attentati dinamitardi, degli assassinii a freddo alle spalle, dei gesti terroristici che espressero l’esempio partigiano, ovvero il medesimo modello sul quale si formò poi la gioventù degli “anni di piombo”, quella che ancora ci si chiede come fece mai ad odiare così. Un po’ più sorprendente fu la tua uscita il 19 luglio quando andasti a onorare i morti di San Lorenzo. Bello, pensai; il fatto che il Sindaco renda omaggio ai cittadini martoriati dalle bombe degli angloamericani è cosa buona, giusta e soprattutto lodevole. Non so cosa c’entrasse però nella circostanza, ovvero nel pieno di una celebrazione di morti italiani sotto le bombe del nemico, ricordarci la presenza attiva e diffusa di una destra resistenziale antifascista (ne eravamo consci, eccome se lo eravamo). Ora c’è la cerimonia dell’8 settembre per la battaglia di Porta San Paolo. Non ho ben capito chi al Comune l’abbia organizzata, né so se ci andrai e cosa dirai. Sono perplesso da tante cose; innanzitutto dal fatto che si anticipi la commemorazione (la battaglia ebbe luogo il 10 ) per festeggiare (ammesso che ci sia qualcosa da festeggiare) l’8 settembre, ovvero il giorno più vergognoso della storia nazionale. Quell’8 settembre, ricordiamolo, il re fellone e il ministro vigliacco scapparono a gambe levate tra le braccia del nemico dopo aver capitolato di nascosto senza condizioni. Lasciarono esercito e popolo senza disposizioni, senza ordini. Tanto che la flotta subì ben quattro bombardamenti in un sol giorno, bombardamenti che la distrussero in buona parte: uno lo subì dai tedeschi e tre dagli angloamericani. Nel dì dei conigli nessuno sapeva chi stava con chi, come e perché e così si scatenarono tutti. Il 10 i reparti rimasti a Roma non vollero cedere le armi e si spararono con i tedeschi. C’entra, in questo, quell’onore di cui si parla nei manifesti; un onore che voleva riscattarsi dal tradimento sabaudo e badogliano. Ma poi, caro Sindaco, ricorderai che proprio i Granatieri di Sardegna che sono citati nel manifesto di commemorazione di quest’anno stampato dal Comune, aderirono alla Repubblica Sociale; se non avevano ceduto le armi fu per fierezza, mica per tradire l’Italia. Tanto che la recente rinominazione della piazza in piazzale dei partigiani è poco corretta; ci furono, invero, alcune bande armate che si lasciarono coinvolgere nell’impresa (o più probabilmente che cercarono di approfittarne) ma ciò non è sufficiente a giustificare la rilettura ideologica antistorica che è stata fatta dai vincitori. Che dico dai vincitori; dai liberti al loro seguito.
Poi è incorretto parlare, come si legge sempre nel manifesto di “difesa della città”. Da chi? Dall’alleato tradito? Dall’alleato che aveva lasciato e lascerà ancora migliaia di morti per difendere la nostra terra dall’invasore sbarcato dal Mediterraneo? Hai presente, lo so, tutti i meravigliosi cimiteri, come quello sul Passo della Futa dove riposano ragazzi sacrificatisi in difesa della nostra libertà. E poi quegli alleati traditi, che ci avrebbero lo stesso continuato a difendere, chi li aveva chiamati da noi? Chi se non lo stesso Savoia, il 26 luglio, il giorno in cui aveva fatto arrestare a tradimento Mussolini? Fu lui, proprio lui, che chiese il loro intervento per difenderci dagli angloamericani. Gli invasori erano gli altri, quelli che parlavano inglese e altri slang del terzomondo al seguito. Non è una questione ideologica, di gusto o di simpatia. Non è nemmeno una lettura politica di quello che la loro invasione comportò (dominio della Mafia, istituzione di un sistema di corruzione, eliminazione della nostra sovranità militare e politica, chiusura di tutte le linee di geopolitica italiana), è solo una semplice constatazione di quanto è elementare, lineare. E’ dare pane al pane e vino al vino senza usare escamotages dialettici ipocriti che servono a far passare i liberti per uomini d’arme e di pensiero. D’altronde chi l’impersonò tutti i liberti se non il già deputato austrungarico Alcide De Gasperi che aveva personalmente richiesto il bombardamento angloamericano di Roma? E allora, caro Sindaco, onoriamoli davvero quelli che difesero le nostre città. Ce ne furono, non numerosissimi ma ovviamente dimenticatissimi, anche a Roma, ma ce ne furono tanti a Ferrara, a Reggio Emilia, a Torino e a Firenze dove rifiutarono ogni possibilità di mettersi in salvo e restarono fino a lasciarsi ammazzare dall’esercito invasore o dai suoi impuniti sicari senza divisa. Firenze, quella Firenze che, ricordi Sindaco, il generale Alexander sostenne essere la più bella città della Penisola “perché – diceva – lì gli italiani ci accolsero sparandoci dai tetti”.
Allora caro Sindaco perché non ospitare a Roma una mostra in onore di chi l’ha difesa davvero questa nostra Italia, una mostra sui franchi tiratori, sugli epurati, sugli assassinati nei campi angloamericani, nel Triangolo Rosso, sugli eroi dei Fascist Criminal Camps?
Perché no? Ne riparleremo quando farà un po’ meno caldo.

Gabriele Adinolfi
(da “No Reporter” – 8 settembre 2008)

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One Comment to “Il Comune di Roma commemora l’8 settembre (Gabriele Adinolfi)”

  1. Amina ha detto:

    …senza parole! commento solo per dirvi che ho le lacrime agli occhi. Pensavamo che gente di destra FINALMENTE al Governo avrebbe rivisitato, correggendola, la storia d’Italia. Macchè! Appena arrivano a governare iniziano a prostituirsi…vogliono “comprare” gli elettori che non li hanno mai votati e che sicuramente non li voteranno mai, perdendo quelli che sono i loro elettori storici. Si vendono e dimostrano di essere pure stupidi.
    Quanto non mi piacciono costoro…gente che ha militato da sempre nel MSI ed ora rinnega. Meglio, molto meglio, chi non c’è mai stato ed ora dimostra tanto più attaccamento alla verità di questi svenduti. Persino Berlusconi, Tremonti, Brunetta cantano in faccia ai “sinistrati-partigiani-comunistoidi-pseudodemocratici” alcune verità riguardo le riletture storiche volutamente errate del nostro dopoguerra. E loro, i cosiddetti camerati nostri di sempre, si calano continuamente le brache. Intitolare una piazza a Giorgio Almirante: che bella idea ebbe il sindaco Alemanno, peccato che per farsi perdonare dai suoi nonelettori di sinistra abbia voluto affiancare a questi la via dedicata a Berlinguer. Senza palle! questo è l’unico commento che riesco a fare.

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