Il signore sì che se ne intende. E’ la prima spontanea riflessione, alla luce dell’ennesimo ‘strappo’, che viene ripensando all’introduzione (sfuggita ai più attenti commentatori) scritta per un volume pubblicato questa estate: «L’autore paventa il rischio del suicidio della politica… Il suo concetto dell’identità è culturale e civile. E’ un nucleo di valori intangibili, che contiene l’anima e il senso delle forme politiche. Non è un libro sulla politica, ma sul retroterra morale e culturale che alimenta la politica stessa».
Facile attribuirgli competenza se si considera che l’estensore dell’introduzione ha sempre vissuto di ‘pane e politica’, deve fama ed onori alla abile tecnica dell’impossibile nell’esercizio della politica, nell’arte del governare – dopo passato e presente – ha investito anche per il futuro. Protagonista di un lungo cammino affrontato in maniera spregiudicata, anche a spese di qualche punto di riferimento, di qualche certezza, di qualche valore che l’aveva accompagnato nei primi vent’anni della sua attività politica, e, se necessario, di qualche amicizia. Nonostante la metamorfosi, miracolosamente dall’introduzione emerge un atteggiamento fortemente critico verso la precarietà della politica ed un anelito di nostalgia per le identità certe: «E’ una riflessione sul senso dell’agire politico in un’età di passaggio e di travaglio, quando i codici di riferimento risultano labili e provvisori».
Addirittura, qualche riga sotto, altri apprezzabili passaggi che nobilitano le radici, non considerandole «… archeologia o rimpianto, ma apertura al futuro», e la cultura, assegnandole l’arduo compito di «… salvaguardare l’anima della politica o, per meglio dire, ricordare che la politica deve avere un’anima».
Un condivisibile rimprovero alla politica di non avere abbastanza anima, pronunciato da cotanto pulpito. Fortificato dalla circostanza di rivestire un ruolo ‘super partes’, che consente di parlare di tutto in piena libertà di pensiero, come avvolto in una visione celestiale e disinteressata della politica, in perenne cammino verso nuovi lidi e nuovi obiettivi. Tanto intenditore, tanto esperto, tanto abile da saper adeguare il suo recente percorso al contenuto del volume: «Una delle metafore più forti del libro è quella del viaggio, che pare particolarmente adatta in questa fase di identità politiche in cammino. Siamo navigatori, ma non naufraghi».
‘Navigare necesse est’, incitava Gabriele D’Annunzio come motto di vita eroica. ‘Navigare necesse est’, scriveva Benito Mussolini sul Popolo d’Italia nel 1920 e ripeteva da Duce alludendo ai destini dell’Italia sul mare. Ma non facciamolo sapere a codesto navigatore, non gradirebbe e non è quella la sua ispirazione. Lui che non ha mai perso di vista la sua personale rotta, che, seppure abbia deciso di abbandonare al suo destino (in attesa di colarla a picco definitivamente) la nave da lui capitanata per lungo tempo, si è abilmente protetto dal rischio di naufragio – contravvenendo al Codice della navigazione che stabilisce sia il comandante ad abbandonarla per ultimo – defilandosi ed afferrando il prezioso timone di un ‘transatlantico’, in attesa dell’assalto decisivo per diventare l’armatore.
A seguire di simile ispirata introduzione, il volume evidenzia lo sforzo dell’autore de “L’estetica della politica” nell’indicare un percorso virtuoso: “Occorre recuperare il senso della politica in una visione dove le idee stanno alla base di una attenta riflessione sulla vita, sul tempo, sulla storia e sul significato di cultura». Arrivando ad ammonire la classe dirigente perché «il suicidio della politica passa inevitabilmente attraverso l’omicidio della cultura» e «la speranza del cambiamento è nel viaggio di una politica che sappia guardare al futuro trasformando quelle nostalgie in azioni. La sfida delle idee è nelle azioni che hanno, però, radici profonde».
Apprezzato il tentativo, resta fitto il mistero sulla scelta operata dallo scrittore Pierfranco Bruni che ha deciso di affiancare alla tesi principale del suo volume («Le idee senz’anima rischiano di portare la politica all’isolamento e all’astrattezza») l’introduzione del presidente della Camera Gianfranco Fini. Forse, ritenendo che l’aria respirata nella vetta di Montecitorio emendi dalla responsabilità di essere coerenti con ciò che si enuncia e tramuti ‘sic et simpliciter’ in esperti di spiritualità applicata alla politica.
Una morale, comunque, emerge. Prima di concedere un’introduzione, sarebbe meglio leggere con maggiore attenzione le pagine che si introducono. Infatti, pare ovvio pensare che quando Bruni ha scritto «siamo dentro un processo politico che si trova ormai ad un bivio. Due sono le strade, ma di queste occorre scegliere la strada della vita della politica. Se non si ha il coraggio di recuperarsi nella nostalgia della cultura e nella nostalgia delle idee si andrà verso il precipizio» non avesse in mente il percorso politico del Presidente Fini, che si è oramai trasformato in un abisso di ripensamenti.

Faber

P.S. = Per Fini il tema delle radici deve essere una fissazione. Appena tre mesi dopo la sua prima elezione a segretario nazionale del Movimento Sociale Italiano, scrisse sul quotidiano del partito: «Non ritengo che sia un paradosso per il Msi, così legato alle sue radici, avere un Segretario nato nel dopoguerra. Vuol dire che quelle radici sono feconde, e che ci sono nuove generazioni che credono nella concezione della vita e nella visione del mondo che fu del fascismo». (Secolo d’Italia, 11 marzo 1988)

Un pensiero su “La metamorfosi infinita”
  1. Non siamo cosi, non siamo Pomì.
    Destra allo sbaraglio.
    Gianfranco Fini, presidente della Camera ed ex leader di A.N, ha rimproverato i suoi sottoposti Ignazio La Russa (Ministro della Difesa e reggente del partito) e Gianni Alemanno (sindaco di Roma e rappresentante della Destra Sociale interna) per le loro dichiarazioni in merito all’8 Settembre ed alla Repubblica di Salò.
    Dichiarazioni non giustificazioniste, sia chiaro, ma “comprensive” di coloro che fecero una scelta contro-corrente: continuare la guerra, conservare i loro ideali Nazionali e mantenere le conquiste sociali che pure vi erano state sotto il Fascismo.
    Secondo il Principe della Camera (Fini) “l’antifascismo deve essere principio fondante della Destra, cosi come la Resistenza. E si deve concordare sul fatto che la Repubblica di Salò sia stata un capitolo sbagliato della nostra storia”.
    Ora io vorrei capire una cosa…
    Noi di Destra dobbiamo rinnegare il Fascismo.
    Noi di Destra dobbiamo rinnegare il valore dei combattenti della RSI.
    Noi di Destra dobbiamo celebrare la giornata della Liberazione e festeggiare il giorno dell’Armistizio.
    Insomma…è chiaro cosa NON dovremmo essere, leggendo nella mente di Fini.
    Ma…quello che io mi chiedo è questo. Chi dobbiamo essere? Quali devono essere i nostri principi ispiratori?
    E non parlatemi di sicurezza, attenzione ai giovani, alle donne, controllo dell’immigrazione ed altre menate simili.
    Qualsiasi partito che applichi il buon senso di prefigge obiettivi del genere.
    Ed allora? Chi dovrebbero essere i nostri Padri Fondatori?
    Nomi, voglio i nomi.
    Su quali valori dobbiamo condurre le nostre battaglie una volta che ci saremo sciolti nel mega “Popolo delle Libertà”?
    Signor Fini, Lei questi problemi se li pone oppure se ne frega altamente perchè tanto il partito lo scioglie e lei farà il Premier tra 10 anni?
    Lei lo sa che ha la responsabilità verso i millioni di elettori di An che hanno mandato lei e la sua classe dirigente al potere per circa una 20 ina d’anni?
    Il problema non riguarda me. Io i miei valori li ho: Onestà, Coerenza, Disciplina, Apertura mentale, Fedeltà, Amore e Ragione. I miei riferimenti ideologici idem: sono quelli del Risorgimento.
    Quando abbiamo lottato contro bastardi del calibro di Metternich che osava definire l’Italia “una semplice espressione geografica”.
    Un corno, caro Metternich! Ora del tuo impero Austro-Ungarico non è rimasta che una risibile Repubblica da Operetta grande quanto la nostra Val d’Aosta.
    Il problema, ripeto, non è mio.
    Ma constatare che non è neanche suo, Dottor Fini, mi immalinconisce alquanto.
    Mi consenta.

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