Lezione di libertà

15 Maggio, 2003 | Di | Categoria: MEMORIA

Cagliari, venerdì 9 maggio, viale Diaz: va in scena una straordinaria ed indimenticabile “lezione di libertà”, tenuta dai soliti democratici professionisti. Sempre loro, i soliti unici detentori della verità, sempre liberi di manifestare contro la libertà di espressione altrui, irrispettosi del codice penale, ma chissà perché impuniti.
Per preparare la “recita”, giovedì 8, sul loro sito antagonista “indymedia” (un vero florilegio di amenità, luoghi comuni ed istigazioni alla violenza), una mano anonima aveva chiamato a raccolta contro il convegno “I Sardi nella Repubblica Sociale Italiana”, dando notizia che «un’assemblea convocata in Piazza Yenne, presenti una quarantina di antifascisti, ha organizzato un raduno per le 17 in piazza San Cosimo con l’obiettivo di manifestare l’opposizione a questo ennesimo insulto alla civiltà». I civilizzatori, però, timorosi dell’accoglienza e dubbiosi che venisse steso il “tappeto rosso”, chiarivano che «se ci riusciremo proveremo ad entrare, se ci verrà negato l’ingresso chiederemo la sospensione dell’iniziativa di chiaro stampo fascista». Un comportamento da veri antagonisti, coraggiosi e spavaldi. Proprio “antifascisti doc”.
Come antipasto al presidio, durante la notte di giovedì (guarda caso nelle ore successive alla assemblea di Piazza Yenne), qualche “graffìtaro democratico” aveva imbrattato i muri della città con minacce ed ingiurie, sottoscritte dalla “A” anarchica, contro gli ambienti della destra cagliaritana. E con la “rabbia democratica” aveva dovuto fare i conti anche la targa in memoria dei Martiri delle Foibe, posta nell’omonima piazza dietro il Parco delle Rimembranze, completamente lordata da mani anonime e vigliacche. L’indomani, come concordato nella “riunione antifascista”, puntuali ed in fila indiana, si sono presentati (per la verità, in numero tragicamente esiguo) di fronte all’albergo che ospitava il Convegno, realizzando un originale “presidio antifascista” con il solo e dichiarato scopo di disturbare ed impedire il regolare svolgimento della manifestazione. Tutto questo nonostante la Questura fosse stata allertata per tempo e gli sparuti antagonisti, fedeli seguaci della moda molto casual, fossero facilmente individuabili. Forse dopo i fatti di Genova, l’ordine dall’alto è quello di lasciarli sfogare, facendoli giocare al “piccolo rivoluzionario” duro e puro, per lasciarli poi tornare alla loro canna quotidiana? Così pare. Un modo studiato per evitare che possano recitare il ruolo delle vittime bastonate. Ma le loro provocazioni abbondano.
I fattacci, però, sono stati ulteriormente aggravati dalla presenza di un rappresentante delle istituzioni alla testa del manipolo dei “democratici contestatori”: il consigliere comunale di Rifondazione Comunista Rabdouh Ben Amara. Il rappresentante del popolo comunista ha gioiosamente partecipato al blocco stradale (per oltre un’ora il traffico è stato deviato dai vigili urbani) – predisposto dopo il corteo non autorizzato (da piazza San Cosimo fino a viale Diaz) – non trovando niente di sconveniente neanche negli slogan intrisi di odio e di violenza scanditi dai suoi “allievi antifascisti”. Atteggiamento che ha rischiato di provocare tensioni e violenze e che comunque rischia di lasciare tracce nella convivenza politica cittadina. Un irresponsabile comportamento che, nei giorni seguenti, ha portato alla legittima e civile protesta dei militanti di Azione Giovani all’interno del Consiglio comunale, dove sono state evidenziate le responsabilità di Ben Amara di fronte all’istituzione che rappresenta.

Gli avvenimenti di questi giorni hanno confermato – ci fosse ancora qualche dubbio – quale sia il confuso concetto di libertà di pensiero e di espressione (ben sanciti dalla Costituzione, che anche Ben Amara ama tanto citare, dimostrando una discreta competenza nelle materie giuridiche con l’azzeccata definizione di “incostituzionale” per il Convegno sulla R.S.I.) in possesso degli “attivissimi antagonisti”, che non essendo in grado di confrontarsi sulle idee e sulla storia preferiscono scandire slogan anacronistici e violenti, riproponendo la lotta antifascista. Se credono di poter rinverdire la logica degli opposti estremismi, tanto di moda negli anni ’70, si sbagliano di grosso. In questo sporco gioco resteranno soli.
È triste riscontrare come nel 2003, a quasi sessant’anni dagli avvenimenti storici dei quali si parlava nel Convegno, qualcuno ancora ritiene che ci siano pagine di storia che non si possono sfogliare e che devono essere repentinamente riposte nel cassetto come pena accessoria per gli sconfitti.
La Fiaccola oltre a riaffermare il diritto a svolgere liberamente la propria attività, certamente non sottoposta alle “purghe” del professor Ben Amara e dei suoi fedeli, denuncia il clima di odio e di violenza che un gruppetto dell’estrema sinistra, rinforzato da alcune figure istituzionali, sta cercando di instaurare in città.
La nostra risposta a queste intimidazioni sarà immediata e di contenuto. Lunedì 30 giugno, con alcuni ospiti di indiscussa qualità storica e culturale, sfoglieremo alcune pagine tragiche del comunismo italiano, pochi ma espliciti appunti per il libro nero del comunismo italiano. Dalle stragi del triangolo rosso dopo il 25 aprile al dossier Mitrokhin, dalla Gladio rossa ai soldi russi nelle casse del Partito Comunista Italiano, con un’occhiata sui lati oscuri della vicenda che durante il Ventennio ha visto protagonista Antonio Gramsci.

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