Non riconosco a Violante il diritto di legittimarmi (Giuseppe Di Federico)

4 Ottobre, 2008 | Di | Categoria: OMNIBUS

In questi giorni vari giornali hanno ricordato, per l’ennesima volta, che l’onorevole Violante, quando era presidente della Camera, aveva «legittimato» i ragazzi di Salò che avevano combattuto per ideali in cui credevano in buona fede. Ricordo che allora l’onorevole Tremaglia più di tutti ebbe a compiacersi di quel riconoscimento. In quell’occasione io, ex ragazzo di Salò, detestai l’onorevole Tremaglia e gli altri del suo partito che assunsero atteggiamenti simili ai suoi. Mi sentii inoltre profondamente offeso dall’iniziativa dell’onorevole Violante, con cui avevo avuto sino ad allora rapporti non ostili. Per spiegare il perché di questa mia reazione devo raccontare brevemente la mia storia di ex-ragazzo di Salò.
Nel 1944, quando avevo solo 12 anni, pensavo che fosse un disonore aver cambiato alleati nel corso della guerra e che questo disonore doveva essere «lavato, se necessario, anche con il proprio sangue» (erano le parole allora in uso che io seguitavo a ripetermi). Volendo arruolarmi andai al comando delle Brigate Nere che, a Bologna, aveva sede in Via Manzoni. Presero i miei dati personali, indirizzo compreso, e avvertirono subito mio padre (abitavamo molto vicino e cioè nell’ufficio di mio padre in Palazzo d’Accursio, dopo che la nostra casa era andata distrutta dai bombardamenti). Mio padre mi disse che ero troppo giovane per fare il soldato e che comunque chi vuol farlo non sceglie un corpo di polizia politica, come le Brigate Nere, ma un regolare corpo dell’esercito «in grigio verde».
Allora non riuscii a capire perché, ma ne tenni conto. Il mio secondo tentativo fu fatto all’inizio del 1945. Andai questa volta al comando della Decima Mas e riuscii a convincere il capitano Simula ad arruolarmi (ricordo il suo nome perché è scritto sul modulo del reclutamento che ancora conservo). Per convincerlo gli mostrai il giornale che riportava il decreto firmato da Mussolini con cui si autorizzava l’arruolamento dei minori di 16 anni, gli dissi che i miei genitori erano entrambi morti sotto i bombardamenti e che vivevo ospite di parenti non stretti che erano molto seccati di doversi occupare di me (le condizioni di devastazione in cui versava Bologna gli impedivano di controllare). Con una certa riluttanza mi firmò il foglio di via per Milano (Piazza Fiume) dove sarei dovuto andare con mezzi di fortuna. Come a qualsiasi altra recluta mi offrì una razione di sigarette e 500 lire. Con sdegno rifiutai l’offerta «perché quello che facevo non lo facevo per avere compensi», ed insieme con un altro ragazzo, senza una lira in tasca, mi avviai alla volta di Milano ove giunsi quattro o cinque giorni dopo. Ben presto fui riportato dai miei genitori.
Con l’arrivo delle truppe alleate, il 21 aprile 1945, dovemmo fuggire la notte stessa, per evitare che mio padre fosse, senza ragione alcuna, sommariamente giustiziato (che questa fosse l’intenzione dei partigiani ci era stato detto dal comandante dei vigili urbani che aveva con loro rapporti). Mio padre fu comunque epurato sino al 1953, e per 8 anni vivemmo prima in uno scantinato e poi in una soffitta.
Dopo la guerra la mia famiglia ed io ci rifiutammo di credere che i nostri alleati tedeschi avessero organizzato campi di sterminio. Era la propaganda dei vincitori. Ci ricredemmo solo quando tornò dall’America il fratello di mia madre che ci disse che era tutto vero (a lui non potevamo non credere). Fu un vero shock per tutti noi.
Per comprendere appieno i sentimenti che ispiravano i comportamenti della mia famiglia, e quindi anche i miei, ricordo che vari anni dopo la fine della guerra trovai la mala copia di una lettera che mio padre, congedato dall’esercito nel luglio 1943, aveva scritto all’inizio del 1944 ad un colonnello, suo ex commilitone, che lo sollecitava ad entrare nelle forze armate della Repubblica di Salò. Nella sua lettera mio padre diceva che si augurava la vittoria dell’Asse, ma che non poteva accettare. Per quanto considerasse i partigiani dei traditori non avrebbe potuto mai sparare contro un altro italiano.
Per molti anni mi sono tenuto lontano dalla politica, le esperienze fatte dalla fine della guerra me lo impedivano. Solo nel 1956, a Londra mi sono avvicinato alle idee socialiste. Ma di politica attiva non ne ho fatta fino alla metà degli anni ’60 dopo tre anni di permanenza negli Stati Uniti.
Dopo questi brevi ricordi posso ritenere che sia possibile far comprendere le ragioni per cui mi sentii offeso dai riconoscimenti che agli ex ragazzi di Salò provenivano da Violante e dagli apprezzamenti a lui rivolti da Tremaglia e altri. Come ex ragazzo di Salò non posso accettare di vedere legittimati i miei comportamenti di allora, tutti ispirati da sentimenti coltivati in assoluta buona fede, da un signore che nonostante conoscesse i crimini commessi da Stalin (io quelli commessi da Hitler non li conoscevo), nonostante la repressione dell’Armata Rossa a Budapest si è iscritto al Partito Comunista con piena coscienza di quegli eventi. Io non voglio giudicare o condannare le sue scelte politiche. Quelle scelte tuttavia non gli danno nessun titolo, nessuna autorità morale per legittimare i miei comportamenti e le mie scelte di quando avevo neanche 13 anni, e neppure quelle di chi aveva più anni di me, che in purezza di sentimenti fecero scelte simili alle mie. Sinceramente preferisco i suoi compagni di partito che non cambiano idea sulle mie scelte di allora. Io, per mio conto, sono ancora orgoglioso delle scelte che feci allora, pur avendo da moltissimi anni coltivato idee politiche ben lontane da quelle della Repubblica di Salò. Ne sono orgoglioso perché ora come allora cerco ancora di fare le cose in cui credo senza curarmi troppo delle mie convenienze. Può dire lo stesso l’onorevole Violante?
Una postilla: più volte in passato ho pensato di scrivere questo articolo e più volte ho cominciato a farlo. Ci mettevo troppa rabbia e non trovavo la misura giusta. Spero di averla trovata questa volta.

Giuseppe Di Federico
Professore emerito di Ordinamento giudiziario all’Università di Bologna
ed ex consigliere del Csm
(da “Il Giornale” – 4 ottobre 2008)

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2 Comments to “Non riconosco a Violante il diritto di legittimarmi (Giuseppe Di Federico)”

  1. Giorgio Vitali ha detto:

    Il signor Violante non merita alcuna considerazione. E’ della stessa RAZZA dei suoi sodali. E sta bene dove sta. Cioè al parlamento. Gli italiani sono ancora troppo ingenui e credono a personaggi del suo calibro.
    Giorgio Vitali

  2. ..mi può aiutare il sig. G.Vitali..non capisco a cosa si riferisce?

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