Caro Sindaco, ora Roma festeggia anche l’otto settembre? Mi pare sia la prima volta o giù di lì; quella data ci ha talmente fatti vergognare e ci ha così squalificati nel mondo che persino i comunisti, addirittura i partigiani comunisti, ai tempi della nostra gioventù la ignoravano volutamente. Invece quest’anno leggo che l’Urbe la festeggerà! E’ vero che c’è un caldo appiccicoso che non aiuta a ragionare, che non invita a concentrarsi e che può indurre tranquillamente a prendere cantonate. Non parlo di morale, di coerenza, di fedeltà, di tutte quelle cose che oramai, a lungo andare, son divenute quisquilie insignificanti e non di certo per azioni unilaterali di origine fiuggina, ché ne abbiamo viste di capriole di ogni tipo anche da parte di chi dureggia e pureggia. Non parlo neppure di rispetto; di quel rispetto che si dovrebbe a chi ha saputo dire di no a tutte le sirene, a chi ha accettato che gli si troncasse la carriera, se non la vita, che gli si distruggesse il futuro pur di non tradire i sentimenti, la parola, l’impegno, l’onore, la cristallinità. Tanto, caro Sindaco e cari amici (o, come disse Giano Accame: cari camerati, sempre che ne sia rimasto qualcuno) quella gente è andata talmente lontano nella sua crescita interiore che anche chi di loro sia ancora vivo non si occupa di certo delle nostre misere storielle quotidiane. Non scomodo neppure la responsabilità di chi, venendo da una storia, da un mondo, da un preciso percorso, ha nei confronti sia di chi lo precedette che di chi lo seguirà; non ne parlo perché sarebbe ingiusto soffermarcisi ora che sei in ballo tu visto che la lista delle responsabilità disattese con estrema disinvoltura è lunga, ripercorsa a ritroso si scopre che ha rughe di decenni e, come già accennavo, riguarda anche, se non soprattutto, gran parte dei rodomonti duri e puri che conosciamo.