Il banale ritornello di questi giorni è stato “le sentenze si rispettano”, come se il verdetto di un procedimento giudiziario fosse un dogma indiscusso e indiscutibile. Invece, su indagini e atti, che portarono alla sentenza di condanna sulla Strage di Bologna, si può dire qualcosa?
Il processo si è basato esclusivamente sulla testimonianza di un solo testimone, Massimo Sparti, più volte contraddettosi e contraddetto addirittura dai suoi familiari.
Dopo il post di Marcello De Angelis, è tornato a parlare Francesco Ceraudo, direttore del centro medico del carcere di Pisa, dove l’unico testimone era detenuto al momento della ‘decisiva’ rivelazione: “Le cartelle mediche di Sparti furono manomesse”, riferendosi all’accertamento di un tumore, che comunque gli ‘consentì’ di sopravvivere da libero per 23 anni, morendo di altra malattia.
In un’intervista pubblicata dal quotidiano “Il Manifesto” nel 2019, il Medico aveva già sostenuto che “il superteste Sparti (unico testimone a carico dei Nar per la strage) fu scarcerato grazie a un certificato falso”. Aggiungendo che “sembra evidente che la scarcerazione sia stata il prezzo della testimonianza contro i Nar, anche perché questo confessò Sparti al figlio” e che i giudici “mi definirono inattendibile”, ma “non mi perseguirono per falsa testimonianza”.
La ricerca della verità non è oltraggiosa e non offende le vittime di quell’orribile strage e i loro familiari. Coloro che sono convinti che la ‘verità processuale’ non corrisponda alla ‘verità storica’ devono proseguire con coraggio, e senza calcoli politici, la loro battaglia e soprattutto si devono sentire liberi di dirlo pubblicamente senza infingimenti.

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