Entrati da ‘incendiari’ nelle stanze del potere, gli ‘euroscettici’ si sono trasformati, obtorto collo, in ‘pompieri’, attenuando i toni ‘antiUE’ (per i più distratti, non significa antiEuropa, ma antiUnioneEuropea). Non solo in termini di ‘exit strategy’ (ipotesi completamente scomparsa), ma anche come analisi e critica degli effetti della moneta unica.

L’euro non è messo più in discussione dalla politica e nonostante le imminenti elezioni europee questo dibattito non ha ripreso vigore. A riprova di ciò anche lo scarso risalto avuto dall’intervento di un giovane economista, Giuliano Guzzi, pubblicato sul numero di febbraio di “Limes”, “Una certa idea di Italia”, dimostrando come l’euro sia un totem intoccabile, fino ad ignorare qualsiasi ipotesi sul tema.

L’Economista, convinto che l’euro sia la “moneta del nostro declino”, si è interrogato: possiamo uscirne? L’unione monetaria (frutto perverso del dannoso Trattato di Maastricht, Trattato di Maastricht, consacrato dalle gabbie del Trattato di Lisbona del 2007) risale al 1992, già ‘annus horribilis’ per l’Italia con l’inchiesta di Tangentopoli, le stragi di mafia che costarono la vita ai giudici Falcone e Borsellino, la speculazione contro la Lira (memento George Soros). Secondo Guzzi, gli effetti della “moneta senza Stato” sull’Italia sono stati decisamente negativi, privandola di importanti spazi di sovranità e trasformando tutti gli Stati nazionali in colonie, non avendo il controllo sulla moneta in cui si indebitano. Viene rievocato il fantasma della sovranità monetaria, diventato un vero tabù per la politica. Proprio in quell’anno, l’economista Wyune Godley ammoniva, ricordando che “il potere di emettere la propria moneta è l’elemento principale che definisce l’indipendenza nazionale”.

Invece, gli Stati nazionali si sono ritrovati succubi della Banca centrale europea (Bce), che rappresenta “un organo politico, non democratico, senza contropotere”. La politica non vuole mettere in discussione l’euro perché dopo un’adesione mistica non ha il coraggio di ammettere di aver sbagliato, avendo fallito tutti gli obiettivi, in primis la crescita economica. Come aveva ammonito la troppo poco rimpianta Ida Magli, “siamo nella fase di realizzazione di un’unità monetaria dove un intero continente sarà in qualche modo governato da una banca centrale: non è mai accaduto che i banchieri governassero in prima persona il mondo. Pensiamo anche alla globalizzazione e alla mondializzazione: l’economia appare talmente predominante  sulla politica che finanza e banchieri sembrano decidere la sorte degli Stati” (dal libro “Contro l’Europa – Tutto quello che non vi hanno detto di Maastricht”, 1997).

“Nello scenario della globalizzazione, l’euro ha rappresentato un freno, una zavorra, un ostacolo per lo sviluppo del nostro Paese”, ha sentenziato Guzzi. Tra le soluzioni ipotizzate dall’economista, l’uscita unilaterale dell’Italia dall’unione monetaria. La racconta nel dettaglio come un’azione coordinata tra Governo, Quirinale e Bankitalia, che, attraverso appositi accorgimenti, renderebbero fattibile la nascita della “nuova lira” con “costi a breve termine compensati da benefici futuri, con la riappropriazione del modello di crescita compatibile con le istituzioni produttive”.

La circostanza che non sia stato un politico a prospettare questa soluzione ha indotto gli ‘euromaniaci’ ad adottare la strategia del silenzio, evitando così una disputa tecnica con un economista, che poteva risultare ardimentosa e perdente. Neanche la rituale affidabilità della testata, soprattutto nei salotti bene e progressisti, che ha ospitato questo intervento è riuscita a conferire dignità di dibattito alla tesi di Guzzi. La speranza è che superati i ‘ludi cartacei’ con il successo, in tutta Europa, degli ‘ex incendiari’, questi svestano i panni da ‘pompiere’ e rimettano in discussione i troppi tabù della lobby di Bruxelles.

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