La polemica sul libro del generale Roberto Vannacci (“Il mondo al contrario”) ha qualcosa in comune con quella che recentemente ha investito Marcello De Angelis.
In tanti si sono attardati a discutere se uomini che ricoprono incarichi pubblici possano esprimere liberamente le proprie opinioni nei libri e/o nei social.
E tutti appassionatamente a dibattere sugli articoli della Costituzione, del Codice militare, delle leggi dello Stato.
Trascurando, invece, a volte consapevolmente, il merito che hanno avuto sia Vannacci che De Angelis, riaprendo con forza il dibattito (in merito alla forma scelta si potrebbero avere opinioni diverse) su alcuni temi proibiti, secondo la prassi stabilita sul fronte sinistro e troppo spesso subita sul fronte destro.
Come il soffocante ‘politicamente corretto’, che sta portando a compimento la creazione di una ‘neolingua’ di orwelliana memoria, finalizzata a disarmare il pensiero critico (“non mira ad altro che a ridurre la gamma dei pensieri”, affinché “qualunque pensiero eretico divenga letteralmente impossibile”, come ricorda Michel Onfray in “Teoria della dittatura”). La speranza è che contribuisca a risvegliare, più di una politica troppo attenta a ‘non disturbare’, la coscienza di tanti sopiti che si esprimono (e pensano) come coloro che dicono di combattere, vittime inconsapevoli della ‘propaganda sociale’ che incombe da decenni.
Come il fondato e legittimo dubbio che la verità processuale sulla Strage di Bologna non rappresenti la verità storica. Dogma intoccabile per tanti motivi, non ultimo quello di brandire politicamente quel vile attentato come una ‘spada di Damocle’ sulla storia pluridecennale della Destra italiana. Una sentenza utile per tentare di criminalizzare un’intera comunità e relegarla ai margini della politica.

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