«Il faut savoir, coute que coute/ Garder toute sa dignité/ Et malgré ce qu’il nous en coute/ S’en aller sans se retouner». Così cantava nei Sessanta Charles Aznavour. Un piccolo capolavoro musicale ma anche un inno alla dignità nella sconfitta.
«Il faut savoir quitter la table/ Partir sans faire de bruit». Alzarsi in silenzio e andarsene, per sempre. Verso altre vite e nuove passioni. Un’uscita decorosa può, a volte, trasformarsi in una palingenesi, in una rigenerazione personale oppure in un momento d’approfondimento, di riflessione. Questione di caratteri e sensibilità.
L’addio — in amore, in famiglia, nella vita — è un momento importante. Prima o poi, a tutti tocca salutare qualcuno: amori, amici, parenti, vicini, colleghi, rompicoglioni vari. Chiudere una fase. Una porta si chiude e altre si aprono. L’importante, però, è andarsene bene, con eleganza, senza rompere le scatole a chi è rimasto. Basta un goccio di coraggio e un po’ di sano menegrefeghismo per poi camminare leggeri, liberi da vecchi rancori e inutili rimorsi. Per dimenticare e farsi dimenticare. Adieu.
Insomma, la canzone del buon Charles offre innumerevoli motivi per riflettere e, magari, evitare capitomboli e figure grame, video imbarazzanti e ambizioni fuori tempo. Qualcuno di buon cuore la faccia ascoltare a Gianfranco Fini (ma non solo a lui, anzi…). Per il suo bene.
Ancora una volta questioni di sensibilità. Tornando alla cronaca, qualsiasi addio, anche il più sofferto, è preferibile all’attualità finiana. Ritrovarsi a sessant’anni suonati su un campetto di periferia ad autopromuoversi sulle note di “Toop Toop” è abbastanza patetico; immaginarsi, poi, punto di riferimento “alto” per il mondo che hai devastato è indice di fragilità mentale.
Certo, probabilmente i motivi sono altri. Fini ha i nervi in disordine ma le somme, le divisioni e le sottrazioni riesce ancora a farle. In queste settimane i diversi “soggetti politici” (veri o presunti) della vecchia AN devono “sistemare” i conti della Fondazione, ma per sedersi al tavolo e trattare con gli amici di ieri e i nemici di oggi, all’ex presidente necessita una sigla qualsiasi e un goccio di visibilità mediatica. Ed ecco il pallone, la squadretta sfigata, le comparsate televisive, le ridicole zuffe con l’inutile Dany. E poi lo spettrale convegno romano. Per poi fare cosa? Boh, il futuro — riprendo il buon Ruggeri — è solo un’ipotesi.
Tutto qua. Inutile infierire. Non è da tutti “quitter la table et cacher ses larmes”. Ci vuole stile.

Marco Valle
(da “Destra.it” – 19 giugno 2014)

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