Nel 2003, su “Excalibur” (periodico dell’Associazione culturale “Vico San Lucifero” di Cagliari), avevo già scritto del “rapporto difficile tra Cultura e Destra politica”, sottolineando “una ben nota allergia, quasi congenita”, tranne poche e lodevoli eccezioni, della classe dirigente dell’allora Alleanza Nazionale, che in quegli anni governava l’Italia, seppure in posizione secondaria rispetto al berlusconismo.

A distanza di un ventennio, si può scrivere, senza rischio di smentita, che quella classe dirigente non fu capace (o, come minimo, non si dimostrò interessata) di costruire un progetto per riconquistare terreno all’interno delle ‘casematte culturali del potere’, in primis scuola e università, media, case editrici, cinema e musica, arte e organizzazioni che elaborano cultura. Un’area politica che non ha dato il giusto spazio e il meritato risalto alle ‘teste pensanti’, salvo qualche caso eccezionale, che, peraltro, non ha dato i frutti sperati, anche per quel diffuso ‘virus’ destrorso dell’individualismo, che sfocia facilmente in autoreferenzialità, non consentendo di ‘fare rete’. Senza dimenticare che i vertici della Destra politica degli ultimi trent’anni non hanno mai ‘tollerato’ il dissenso, il dibattito, l’altrui pensiero, coltivando la regola suicida dell’uno (o pochi) che pensa per tutti. Come ha sottolineato Marco Tarchi (“La Verità”), vige la “regola del capo che per quasi tutti i seguaci ha sempre ragione, qualunque cosa dica o faccia: guai ad avere o manifestare dubbi sulle sue scelte. Finché i successi durano non ci sono problemi”.

A sinistra, invece, avendo ben appreso la lezione gramsciana, sono riusciti da decenni a creare una rete, allevando e facendo convivere sia l’intellettuale organico che quello meno ortodosso, coprendo così tutte le opportunità di consenso che si creano nel suo humus, fino al compimento del progetto marxista di egemonia culturale, che tuttora consente di dettare le regole del dibattito, spaziando, per esempio, dal politicamente corretto alla cultura della cancellazione, dalla fluidità dei generi allo schwa. Un perfetto (finora) meccanismo che gli ha consentito di sostenersi e autoreplicarsi, raggiungendo vette clamorose come la creazione di qualche ‘caso umano-letterario e/o televisivo’, eppur di successo. Negli ultimi tempi, complice la crisi devastante del messaggio culturale, si è trasformata in egemonia di potere, grazie alla capacità di fuoco dell’organizzazione culturale, consolidata e fortificata in tantissimi anni, e all’abilità di fare rete e di autotutela reciproca tra i diversi attori del sistema.

Oggi, con un Governo nazionale di destracentro, si presenta la cosiddetta ‘ultima spiaggia’, una ghiotta occasione non certo per imporre un’egemonia di segno diverso, ma per rilanciare una sacrosanta e doverosa ‘battaglia per la circolazione delle idee’, che fornisca alla Politica uno strumento indispensabile per il consolidamento di qualsiasi progetto. Infatti, come sostiene Gennaro Malgieri, “la politica senza cultura è un mostro dedito alla gestione e all’amministrazione, una scienza senza anima”. Proprio la cultura, in prospettiva, sarà una delle sfide più importanti e coraggiose del Governo Meloni, se vorrà lasciare un segno nell’Italia del futuro. L’auspicio è che i primi segnali (Gennaro Sangiuliano al Ministero della Cultura e Alessandro Giuli alla presidenza della Fondazione del Museo Maxxi) siano la conferma di un ‘cambio di passo’ per mettere in archivio quella Destra politica che Corrado Ocone (“Libero”) ha descritto come “indifferente alla cultura e a ciò che oltrepassa la mera lotta per la conquista di posizioni di governo”, non riuscendo a creare “un tessuto di alleanze sociali cementato da una ideologia e una cultura comune”.

È necessario portare avanti un progetto culturale ‘non conformista’, senza il timore di essere ricacciati nel famigerato ‘ghetto’ (dove comunque, per decenni, la Destra italiana ha combattuto le sue battaglie con dignità e onore), senza riserve mentali, senza pudore, senza indietreggiare, senza tentennamenti, senza concessioni, senza timori di risultare politicamente scorretti, di essere attaccati e/o strumentalizzati. Una battaglia che la Destra politica deve alle generazioni future affinché possano trovare una cultura libera e soprattutto spurgata dalle menzogne, ma anche a quelle passate che tanto hanno dato senza nulla chiedere per difendere la propria identità culturale.

In questo percorso si è inserita l’esperienza del Festival culturale “Ideario22” a Cagliari, che non ha avuto solo il merito di rimettere in vetrina la cultura ‘non conformista’, ma soprattutto di ridestare l’attenzione verso il rapporto tra Cultura e Destra politica e di rilanciare l’ambizioso progetto di una rete che aggreghi le varie iniziative e le varie voci nel territorio nazionale. Se è vero il detto popolare che ‘la speranza è l’ultima a morire’, la fiducia, invece, è certamente meno longeva. Perciò, il segnale del ‘cambio di passo’ che sembrerebbe arrivare dalla politica nazionale non deve restare una speranza che si intravede in lontananza, con il sospetto che non si concretizzerà mai.

Un segnale incoraggiante e fattivo dovrà arrivare anche da coloro che finora, per decenni, sono stati i testimoni oculari, spesso impotenti, degli errori e/o dell’inefficienza della Destra politica nei confronti dell’area culturale di riferimento. Perciò, con uno slogan che ad alcuni risulterà familiare, è arrivato il momento di passare ‘dalla protesta alla proposta’ con alcune idee che siano un ulteriore stimolo al dibattito, finora ampio su svariati terreni social, ma che sembra ancora monco e snobbato da chi forse avrà pensato di sentirsi sminuito nel rendersi attivo protagonista.

Un Forum dove far incontrare e dialogare i diversi eventi culturali , che pur proseguendo il proprio percorso in maniera autonoma e con le proprie caratteristiche, salvaguardando le specificità, possano collaborare, interagire, ipotizzando la formazione di un circuito nazionale. Finora nulla, o quasi, si è fatto per mettere in rete iniziative, esperienze, competenze, per attivare circuiti virtuosi. Qualcosa in questo senso si sta muovendo grazie anche alla collaborazione con l’Arsenale delle Idee, iniziativa nata e sviluppatasi in rete durante il confinamento pandemico.

Un’autoconvocazione degli Stati generali dell’area culturale ‘non conformista’ (scrittori, artisti, giornalisti, operatori et similia). Un evento qualitativamente, numericamente e mediaticamente d’impatto, che sia in grado di programmare e progettare, tanto da accelerare i tempi e non far perdere la fiducia nel ‘cambio di passo’, considerate le precedenti esperienze.

Un Salone nazionale del libro ‘non conformista’. Non un evento ‘semiclandestino’ e per pochi appassionati, ma una vera e propria festa della cultura, dei libri e dei lettori.

Un censimento  negli enti locali degli assessori alla cultura (e dei sindaci) sensibili ai progetti dell’area ‘non conformista’.

Un progetto unico nel campo dell’informazione on line per dare vita ad un competitivo giornale in rete. Alcune testate di ‘area’ sono protagoniste da anni con firme di qualità e contenuti di valore, ma con una diffusione certamente limitata rispetto a quella che avrebbe un unico prodotto nazionale, anche in termini di voci e mezzi a disposizione. Nel 2015 ci fu un tentativo (vano) di Marcello Veneziani, quando fu presidente del Comitato scientifico e culturale della Fondazione di Alleanza Nazionale, che, però, riferendosi ad un vasto “arcipelago mediatico”, ipotizzò più un aggregatore delle varie esperienze (chiamato in maniera evocativa “Mito”) che un progetto unico.

Basta coi piagnistei di cui l’ambiente è stato a lungo protagonista, bisogna lavorare con forza per rovesciare gli oligopoli della cultura che regnano da decenni in Italia, sostenendo la creatività e la professionalità degli operatori culturali ‘non conformisti’. Al di là delle proposte e della buona volontà dei singoli protagonisti, è ovvio che sarà necessario un segnale forte della politica, che dovrà far propria questa battaglia e sostenere le iniziative che ne scaturiscono, anche senza ingombranti (a volte) ‘targhe partitiche’, per sorreggere e dare continuità alle idee coraggiose, che consentano di liberare le migliori energie di una vasta area culturale. All’insegna del pensiero di Ezra Pound: “L’unica cultura che riconosco è quella delle idee che diventano azioni”.

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