Mentre infuria il neo-antifascismo e si perseguita proprio chi commemora Sergio, un articolo di Walter Veltroni riapre uno spiraglio alla pacificazione.

Intanto pochi giorni fa il Tribunale di Milano ha condannato in appello (dopo averli assolti in primo grado) 11 ragazzi colpevoli di aver commemorato i morti della Guerra civile al cimitero. Processo che fa il paio con quelli che, da ormai 7 anni, prendono di mira chi rende omaggio alla memoria di Sergio Ramelli, con un alternarsi di condanne in primo grado e assoluzioni in appello (o viceversa…) salvo poi – fino a oggi – finire con regolari assoluzioni in Cassazione perché non può essere considerata “apologia di Fascismo” la commemorazione di un ragazzo ucciso 45 anni fa.

Eppure… Eppure, pochi giorni fa, sempre a Milano, si è iniziato un ennesimo processo contro un piccolo esercito di persone. Inizialmente 29, cui se ne aggiungeranno altre 60 e rotti… Ma il magistrato ha dato ordine di inquisire “tutte” (più di mille) le persone presenti alla commemorazione di Sergio Ramelli il 29 aprile dell’anno scorso. In questo clima di intolleranza e di persecuzione questa mattina se ne esce, a sorpresa, Walter Veltroni, con due pagine sul Corriere della sera dedicate proprio al calvario e all’omicidio di Sergio Ramelli. Cui seguì la lunga persecuzione contro la famiglia, con ingiurie, aggressioni e minacce.

Poi il processo che, con 10 anni di ritardo, chiarì le responsabilità e condannò gli esecutori. Occorsero, però, altri 20 anni per sapere delle “pressioni” subite dal giudice istruttore, Guido Salvini, per insabbiare l’inchiesta e non da parte degli estremisti… ma dei suoi stessi colleghi magistrati. Veltroni è uomo politico di “vecchio stampo”, ormai fuori dall’agone e dalla fogna della quotidiana barbarie politica. Il suo essere di sinistra, poi, gli consente anche di fare qualche volta “l’eretico”… come fecero Luca Telese scrivendo Cuori Neri o Giampaolo Pansa scrivendo il Sangue dei vinti. Loro possono ricordare Sergio Ramelli. Le persone che ogni 29 aprile, a centinaia, si recano sul luogo dove fu ucciso… loro no. Gli amici di Sergio, quelli che (come me) ne hanno portato la bara? Loro no. Per loro c’è ancora l’astio del neo-antifascismo giudiziario, l’odio sparso a piene mani da un Berizzi (degno erede di quel Saverio Ferrari che, proprio nel processo Ramelli, fu condannato per l’archivio di schedature), il livore della stampa asservita. Walter Veltroni conclude il suo articolo con un appello alla pacificazione: «Sergio e gli altri, divisi sanguinosamente in vita, devono oggi essere uniti nella memoria collettiva».

Il libro che ho contribuito a scrivere (23 anni fa) sulla vicenda di Sergio si conclude ricordando che la sua è una storia che può fare da «monito alle generazioni future affinché simili fatti non debbano più accadere». Perché non la pensano così certi giornalisti e certi magistrati? La risposta è semplice, purtroppo. Perché, a differenza di Walter Veltroni, loro la storia di Sergio non l’hanno mai letta, né hanno letto Cuori neri, o visto il documentario Milano burning. Neppure il fumetto si saranno letti…

Imparate a conoscere Sergio, capirete l’Italia… purtroppo anche quella di oggi.

Guido Giraudo

(da “Orwell” – 16 febbraio 2020)

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