Non è mai elegante citarsi e può apparire presuntuoso dire “io l’avevo detto”, ma c’è un momento in cui si avverte la necessità di condividere un momento importante della propria passione politica, che ha inevitabilmente indirizzato scelte future e tracciato un percorso assai diverso da quello di tanti coi quali si sono condivisi numerosi e felici momenti di militanza politica giovanile.

Le vicende di questi mesi rendono attualissima una lettera, rimasta per quasi 20 anni nel mio cassetto e nota a pochissimi. Scritta da uomo a uomo (fu infatti indirizzata a casa sua e non alla sede del partito, come dimostra la cartolina della raccomandata con la sua firma) e non da dirigente politico a dirigente politico, per manifestare appieno la delusione generata da chi fino a quel momento, in un rapporto consolidato da anni di frequentazione, era considerato la speranza per l’affermazione di valori e principi apparentemente condivisi.

Ora, invece, è la prova di un’intuizione sul limite umano e morale di un politico che da quel momento per troppi anni ha malauguratamente avuto, per colpa di una classe dirigente miope e timorosa, una delega assoluta, indisturbata ed indiscussa alla gestione di un patrimonio ideale, che oggi ha rinnegato più volte.

Era il lontano 1991, quando al termine di un’intensa e responsabile militanza, più che decennale, presi una decisione forte, costosa, difficile, simbolica, solitaria, che negli anni seguenti non mi ha comunque impedito di continuare a sentirmi parte di una comunità che non ha mai rinnegato. Poi, nel luglio 1992, dopo aver atteso un evento interno, gli scrissi. Tolta la polvere che il tempo vi ha depositato sopra, dalla lettera si evince un quadro profetico dell’uomo, in linea perfetta coi comportamenti odierni. Ho deciso di condividerla come testimonianza, utile anche alla creazione di un’opinione sull’uomo più che sul politico. Per troppo tempo ha goduto di benevoli apprezzamenti, che oggi si dimostrano ampiamente immeritati.

«Sono trascorsi tanti, troppi mesi dalla nomina, da te effettuata, del commissario della federazione di Cagliari – nel frattempo diventato tuo collega in Parlamento, ma ancora in carica – ed ora che si è finalmente compiuto l’ultimo atto che mi interessava all’interno del Movimento Sociale Italiano (la nomina del nuovo reggente del Fronte della Gioventù provinciale), posso finalmente manifestare il mio disprezzo scritto (‘verba volant, scripta manent’) non solo per la sostanza della tua scelta, ma soprattutto per la forma, moralmente inqualificabile.

Non ho intenzione di dilungarmi – sono cose che avrai già sentito e risentito – non volendo distoglierti dagli equilibri che ti permettono di continuare ad essere il segretario nazionale, dal computo dei seggi e dalle alchimie interne che, nonostante tante belle promesse, hai lestamente imparato a produrre, ma spero che queste poche righe siano in grado di farti apprezzare l’amarezza per il trattamento che hai riservato, e stai continuando a riservare, ad un gruppo di Camerati (da sempre tuoi disinteressati Amici) e soprattutto per la cieca (ahimè) fiducia che in te era stata riposta per la rinascita soprattutto morale del Movimento.

Un Movimento che, viste le sue strumentali scelte interne (hai sacrificato la fedeltà e l’onore per un seggio), visti i virus che infestano i suoi vertici nazionali e periferici (fareste qualsiasi cosa per un posto in lista) non mi rappresenta più. Non mi è rimasto altro da fare che, come già ho fatto nel 1991, non rinnovare, dopo dodici anni di sincera militanza, la tessera del MSI.

Con grande tristezza, ma altrettanta disistima, questo è quanto ti dovevo.»

Un pensiero su “Lettera al capriolatore Gianfry, era il 1992…”
  1. Quasi in contemporanea abbiamo messo a fuoco……. l’individuo.
    Continuare a nominarlo………. produciamo vomitevole olezzo.
    Lasciamolo, con i suoi, nella fogna e chiudiamo il tombino!
    Cameratescamente ti saluto.

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