OMNIBUS

Non riconosco a Violante il diritto di legittimarmi (Giuseppe Di Federico)

Ott 4th, 2008 | By

In questi giorni vari giornali hanno ricordato, per l’ennesima volta, che l’onorevole Violante, quando era presidente della Camera, aveva «legittimato» i ragazzi di Salò che avevano combattuto per ideali in cui credevano in buona fede. Ricordo che allora l’onorevole Tremaglia più di tutti ebbe a compiacersi di quel riconoscimento. In quell’occasione io, ex ragazzo di Salò, detestai l’onorevole Tremaglia e gli altri del suo partito che assunsero atteggiamenti simili ai suoi. Mi sentii inoltre profondamente offeso dall’iniziativa dell’onorevole Violante, con cui avevo avuto sino ad allora rapporti non ostili. Per spiegare il perché di questa mia reazione devo raccontare brevemente la mia storia di ex-ragazzo di Salò.



Eternamente inchiodata a polemiche catacombali (Massimo Fini)

Ott 1st, 2008 | By

L’Italia sembra condannata a rimanere inchiodata per l’eternità a polemiche catacombali. Durante il suo viaggio in Israele il sindaco di Roma Alemanno si è rifiutato di considerare, in blocco, il fascismo “il male assoluto” condannando invece, senza se e senza ma, le leggi razziali. Apriticielo. Tutte le suorine di sinistra (oltre che la comunità ebraica), sono risorte, indignate. Veltroni ha affermato: «Non è possibile scindere le sue cose» e, non contento si è dimesso dal Museo della Shoah («Mi ferisce quel tentativo di esprimere un giudizio ‘doppio’ sul fascismo»). Un deputato Pd: «Difficile poter definire come “male assoluto” politico un’esperienza politica che per vent’anni ha soppresso le libertà». E così via. Prima di addentrarci in ragionamenti più complessi facciamo una riflessione semplice. Il fascismo negli anni Trenta ebbe un consenso quasi plebiscitario (“Gli anni del consenso” di Renzo De Felice). È ragionevole pensare che tutti i nostri nonni o padri (non parlo del mio che fece quindici anni di esilio per fuggire al fascismo, dico in generale) fossero tutti dei mascalzoni, dei seguaci del male assoluto, e quindi “male assoluto” essi stessi; mentre noi figli o nipoti saremmo tutti migliori di loro? Ma andiamo.



Il Comune di Roma commemora l’8 settembre (Gabriele Adinolfi)

Set 8th, 2008 | By

Caro Sindaco, ora Roma festeggia anche l’otto settembre? Mi pare sia la prima volta o giù di lì; quella data ci ha talmente fatti vergognare e ci ha così squalificati nel mondo che persino i comunisti, addirittura i partigiani comunisti, ai tempi della nostra gioventù la ignoravano volutamente. Invece quest’anno leggo che l’Urbe la festeggerà! E’ vero che c’è un caldo appiccicoso che non aiuta a ragionare, che non invita a concentrarsi e che può indurre tranquillamente a prendere cantonate. Non parlo di morale, di coerenza, di fedeltà, di tutte quelle cose che oramai, a lungo andare, son divenute quisquilie insignificanti e non di certo per azioni unilaterali di origine fiuggina, ché ne abbiamo viste di capriole di ogni tipo anche da parte di chi dureggia e pureggia. Non parlo neppure di rispetto; di quel rispetto che si dovrebbe a chi ha saputo dire di no a tutte le sirene, a chi ha accettato che gli si troncasse la carriera, se non la vita, che gli si distruggesse il futuro pur di non tradire i sentimenti, la parola, l’impegno, l’onore, la cristallinità. Tanto, caro Sindaco e cari amici (o, come disse Giano Accame: cari camerati, sempre che ne sia rimasto qualcuno) quella gente è andata talmente lontano nella sua crescita interiore che anche chi di loro sia ancora vivo non si occupa di certo delle nostre misere storielle quotidiane. Non scomodo neppure la responsabilità di chi, venendo da una storia, da un mondo, da un preciso percorso, ha nei confronti sia di chi lo precedette che di chi lo seguirà; non ne parlo perché sarebbe ingiusto soffermarcisi ora che sei in ballo tu visto che la lista delle responsabilità disattese con estrema disinvoltura è lunga, ripercorsa a ritroso si scopre che ha rughe di decenni e, come già accennavo, riguarda anche, se non soprattutto, gran parte dei rodomonti duri e puri che conosciamo.



Per il 4 novembre festa nazionale (Storia In Rete)

Set 1st, 2008 | By

Da luglio Storia In Rete ha lanciato un’iniziativa ‘provocatoria’ che vuole mettere sul tavolo una questione importante per chiunque abbia a cuore la storia e le sorti della Nazione. «L’Italia può uscire dall’attuale crisi solo facendo appello alle risorse comuni – sostiene “Storia In Rete” – risorse che è possibile ritrovare solo nella nostra Storia, specie quella Storia che ha unito e ‘fatto’ il Paese più che dividerlo. E quale occasione migliore di tornare a fare del 4 novembre, anniversario della vittoria nella Grande Guerra, ‘la’ festa nazionale dell’Italia del Terzo Millennio.»



Destra al governo? (Alessandro Giuli)

Lug 31st, 2008 | By

Toccati i primi (quasi) cento giorni del Cav. IV, per pigrizia o per strabismo l’opposizione insiste nel colpevolizzare “le destre” di governo come se in Italia ce ne fossero in abbondanza. Invece sarebbe un prodigio averne una sola. Perché in Italia una destra al governo non c’è, non esiste, non rileva. E’ sopraggiunta questa legislatura socialnazionale a certificare il rigor mortis di un’astrazione comoda per gli appassionati di toponomastica, ma del tutto disincarnata. E’ così da Silvio Berlusconi in giù, nell’esecutivo come nei partiti che lo tengono in vita, nella rappresentazione pubblica come nell’amministrazione locale. Il Cav. non ha nulla dell’uomo di destra, è un geniale imprenditore craxiano che si è formato al Drive In; a suo modo un artista pop avvolto d’urgenza, quindici anni fa, nel drappo cucito dalle riserve della Seconda repubblica. Quanto di più distante dai princìpi di legge e ordine, di colpa e punizione o redenzione religiosa. Berlusconi è il premier che non voleva e non vuole, per esempio, il reato d’immigrazione clandestina. Lo ha spiegato con sincerità angosciata e rivelativa ai suoi subalterni: ma come, un immigrato rischia la vita per arrivare da noi e trovare la libertà, la possibilità di lavoro, il sogno di una ricchezza, e noi lo buttiamo per cinque anni in galera? Il Cav. è questo, non un bramino, non un guerriero ma un esemplare della terza casta. Quella dei produttori di beni. Nulla a che vedere con la destra. E il suo Consiglio dei ministri non fa che riflettere questa assenza. Giulio Tremonti è finalmente tornato l’editorialista del Manifesto con ambizioni da leader della sinistra nazionale. La corona dei democristiani come Claudio Scajola alla parola destra mette la mano ai libri di storia antifascista. Paolo Bonaiuti, Maurizio Sacconi, Renato Brunetta e Franco Frattini sono epifenomeni del socialismo. Sandro Bondi è un amabile prodotto del totalitarismo cattocomunista. Le giovani e i giovani ministri come Mariastella Gelmini e Angelino Alfano sono eredi della borghesia moderata di provincia. Elio Vito un radicale. Pure qui niente destra.



La cultura come risorsa (Ernesto Galli della Loggia)

Lug 25th, 2008 | By

Servono a qualcosa, al governo Berlusconi, i ministeri dell’Istruzione e della Cultura? La domanda non è paradossale. Vuol significare semplicemente questo: retorica a parte, la destra italiana pensa di avere in quei ministeri, in quegli ambiti, un particolare, specifico, interesse politico o no? Pensa cioè che al suo programma e alla sua identità l’Istruzione e la Cultura possano contribuire in qualche modo o no? Ancora: ritiene la destra italiana che Istruzione e Cultura abbiano un qualche rilievo strategico nel futuro del Paese oppure no? È difficile dare una risposta. So però perché ha senso porsi queste domande. Il motivo è che l’Italia di oggi appare un Paese inerte. Il fatto che da quindici anni, come scriveva domenica Francesco Giavazzi, non cresca il reddito reale medio è in certo senso solo la conseguenza ultima di qualcosa di più profondo. L’inerzia italiana non è nella sostanza economica. È piuttosto il venir meno di un’energia interiore, il perdersi del senso e delle ragioni del nostro stare insieme come Paese, delle speranze che dovrebbero tenere legato il primo alle seconde. È un lento ripiegare su noi stessi, un’incertezza che ci ha fatto deporre progressivamente ogni ambizione, ogni progetto. È l’invecchiamento di una popolazione che da anni non cresce; la consapevolezza deprimente che da anni siamo fermi, non facciamo, non creiamo, non costruiamo nulla d’importante, così come non risolviamo nessuno dei problemi che ci affliggono. È la sensazione che il Paese non ha più né un baricentro né una meta. Ed è la sensazione che nel frattempo le differenze sociali, culturali e quindi geografiche tra le varie parti della penisola si stanno approfondendo; che tutti i legami vanno allentandosi: tra le persone come all’ interno delle famiglie e con le istituzioni. È la percezione impalpabile che ci stiamo allontanando pian piano dal centro della corrente: come se la storia contrastata ma viva, fertile e felice, della Prima Repubblica fosse giunta al capolinea, e non riuscisse a cominciarne nessun’altra. A un Paese così è necessaria una scossa. L’ Italia ha oggi bisogno di riprendere il filo della sua vicenda in quanto nazione, di riscoprire il senso e le molte vocazioni della sua identità, di riacquistare in questo modo fiducia in se stessa. In teoria non si potrebbe immaginare un compito più alto e più tipicamente proprio della politica. Peccato però che la destra non sembri avere alcuna consapevolezza di tutto ciò. Il «rialzati Italia» della sua campagna elettorale, infatti, non è mai uscito da una dimensione per così dire economicistica, nella sostanza non è mai stato altro che un’arma polemica contro la linea Visco-Padoa-Schioppa. Finora, insomma, e fatta salva l’adesione più o meno formale ad alcuni punti della morale cattolica e ad un generico patriottismo, la destra di governo ha mostrato una singolare timidezza/indifferenza a muoversi sul terreno delle questioni ideali, dei valori individuali e collettivi, delle prospettive storico-identitarie. Finora essa non ha mai voluto parlare al Paese parlando del Paese. Ma stare al governo può far capire molte cose. Può far capire per esempio che proprio il momento straordinario che stiamo vivendo e le necessità che esso pone sono fatti apposta per attribuire all’ Istruzione e alla Cultura (che poi vuol dire inevitabilmente ai due rispettivi ministeri) un grande compito politico: non certo quello di stabilire nuove, impossibili egemonie alternative alla sinistra, bensì quello appunto di rianimare il Paese tutto, di aiutarlo a riannodare il filo della sua storia, e dunque a ritrovare senso e identità, alla fine fiducia in se stesso. Istruzione e Cultura, infatti, hanno a che fare nella loro essenza con il Sapere, il Passato e la Bellezza, cioè con il cuore dell’identità italiana. Sapere, Passato e Bellezza rappresentano le tre grandi prospettive che da sempre caratterizzano e per più versi racchiudono l’ intera nostra vicenda, le tre prospettive che da secoli sono valse a mantenere questa piccola penisola mediterranea al centro dell’ attenzione del mondo, portando il nome italiano oltre ogni confine. Sappiamo bene l’uso insopportabilmente retorico che tante volte di quelle tre parole si è fatto, ma ciò non toglie che è proprio da esse che possiamo, e in certo senso dobbiamo, ripartire. L’Italia esiste, infatti, ha una compattezza identitaria e civile che adeguatamente sollecitata è capace di diventare lavoro, impegno, industriosità, fantasia di costruzioni istituzionali e sociali, solo in forza del legame che riesce a mantenere con quel cuore della sua storia. Ciò che la tiene insieme e la sua anima sono lì: nel Sapere, nel Passato, nella Bellezza. Il conoscere, il portare a sé il mondo e ripensarlo dentro di sé, che ha rappresentato lo strumento costante della multiforme crescita delle nostre collettività; e poi il rapporto con l’Antichità, con le origini classiche e cristiane, che continua ad essere per noi non solo fonte di un prestigio planetario ma anche motivo non estinguibile di autoriconoscimento, di una pietas del Ricordare e del Custodire in cui si riassume un tratto universale di civiltà; e infine la singolare vocazione italiana all’invenzione e all’armonia delle forme che, a partire dal paesaggio e dai mille modi della quotidianità, si è riversata poi in una vicenda artistica immensa: quanto ci piacerebbe che i nostri ministri dell’Istruzione e della Cultura ricordassero al Paese queste cose! Quanto ci piacerebbe che se ne ricordassero essi per primi quando si tratta di organizzare la scuola, l’università, i musei, la tutela del nostro patrimonio culturale, superando i mille inciampi burocratici di ogni giorno! Quanto ci piacerebbe, soprattutto, che essi riuscissero a parlare al Paese per l’appunto mettendo il Sapere, il Passato e la Bellezza al centro di un alto discorso politico rivolto al futuro della collettività nazionale! Forse essi non sospettano neppure l’ascolto che potrebbero ottenere. Forse la politica, questa triste generazione politica a cui è toccato in sorte di governare l’Italia disanimata attuale, neppure immagina le energie che essa potrebbe suscitare solo che sapesse trovare le parole, le immagini e le idee giuste! Una cosa è certa: chi in un modo o nell’altro vive negli ambiti istituzionalmente affidati all’Istruzione e alla Cultura non ne può più di doversi regolarmente presentare con il cappello in mano al ministro del Tesoro di turno, di essere sempre costretto a disquisire di «tagli», di organici, di soldi. Vorremmo una buona volta poter parlare, e sentir parlare, d’altro. Del nostro Paese, per l’appunto: del suo e del nostro avvenire.



Merita il Nobel ma dell’ipocrisia (Vittorio Sgarbi)

Lug 14th, 2008 | By

Mi chiedo per quale strana ragione quando io dovetti ascoltare il duo Grillo-Travaglio coadiuvati dall’ufficiale di collegamento Santoro insultare indifferentemente il professore e senatore Umberto Veronesi chiamato «affarista» e «Cancronesi», il presidente della Repubblica, giudicato inerme e addormentato, e quello del Consiglio chiamato psiconano e ridicolizzato per il suo aspetto fisico, e ancora ministri e parlamentari giudicati mafiosi davanti a una platea di quattro milioni di telespettatori ad Anno zero, il 1° maggio, nessuna anima bella si scandalizzò, non di me che avevo tentato disperatamente di frenarli (come sempre per i sacerdoti del politicamente corretto, sopra le righe), ma di loro che avevano fatto le prove generali della manifestazione dell’8 luglio che oggi vedo quasi da tutti esecrata.



Metà caimano e metà magnaccia? (Marcello Veneziani)

Lug 3rd, 2008 | By

Stasera Berlusconi si costituisce in video, presentandosi al gip Mentana. Riassumo a lui e al gentile pubblico i due peccati di cui dovrà discolparsi. Gira e rigira, due sono le argomentazioni contro Berlusconi e li suo governo che sento ripetere ovunque. Due argomentazioni di natura morale, non politica; che possono avere un’implicazione politica oltre che una conseguenza penale, ma restano di natura morale. La prima è quella più ossessiva. Berlusconi bada solo ai suoi interessi, fa le leggi su misura per lui, tutta la sua azione politica è una confusione tra il privato e il pubblico, tra l’azienda sua e lo Stato, tra l’Io e l’Italia. Le tre i di Berlusconi: Io, Io, Io. Chiamatelo conflitto d’interessi, affarismo, porci comodi ma siamo lì. La seconda sfiora il gossip. Ma che affidamento può dare un premier che dice di difendere la famiglia, i valori e di rappresentare i cattolici della vecchia dc, e poi vive tra belle pupe, sporchi profitti e perfidi inganni? Che fiducia può dare uno che finge d’essere diopapaefamiglia e poi tresca tra affari e gnocche raccomandate, ed è pure divorziato? In fondo le norme blocca-processi e blocca-intercettazioni rispondono a questi due peccati. Vi aspetterete a questo punto che io difenda Berlusconi, e confuti l’immagine da caimano e da magnaccia che ne dà la perfida stampa, con i perfidi giudici e la perfida sinistra. E invece no, do per buoni e veri i due argomenti, sono pronto persino a sposarli sul piano morale, anche se sono esagerati. Però vorrei giudicare un premier non dai suoi affari personali e dalla sua coscienza, ma da come governa il Paese, e come tutela quello che una volta, per farvi ridere, si chiamava bene comune. Altrimenti, se lo giudico moralmente, oltre a sentirmi dio, o un precettore, resto sul suo terreno, la sfera personale. Partenza in quarta Allora torno alla realtà. In questo avvio di governo Berlusconi è partito con alcune cose buone e condivise: la lotta all’immondizia e ai fannulloni, la riforma scolastica e la Tav, l’Ici e gli sgravi, la robin hood tax e le centrali nucleari, la lotta all’immigrazione clandestina e ai rom. In tema di giustizia e pacchetto sicurezza, ha presentato una proposta complessivamente buona, intercettazioni incluse. Nell’insieme da cittadino mi reputo soddisfatto dell’avvio. Di negativo, anzi di inaccettabile, trovo la sospensione di tanti processi (e, a parte, la difesa di Retequattro). E’ comprensibile che Berlusca si pari le chiappe, frenando le azioni dei magistrati contro di lui. Sarà moralmente riprovevole ma fa bene politicamente, perché non si può governare sotto schiaffo, non si può paralizzare l’azione di un governo con il ricatto di squalificare il premier. Ma mi spingo oltre: preferirei la sospensione riguardasse solo i processi a Berlusconi, per ragion di Stato e di interesse pubblico.



E siamo alle solite… (Massimo Fini)

Giu 30th, 2008 | By

E siamo alle solite. Il governo si è insediato da nemmeno due mesi che già Berlusconi propone e impone la consueta legge ‘ad personam’, fatta su misura per salvarlo da quelli che vengono pudicamente chiamati i suoi «guai giudiziari». È un dejavù. Ma questa volta la legge è talmente scombicchierata, sconclusionata, assurda, irragionevole, irrazionale, spudorata e, soprattutto, devastante per l’intero ordinamento giudiziario e per il convivere civile che si stenta a credere che due senatori abbiano osato proporla, un governo e un ministro della Giustizia l’abbiano fatta propria, una maggioranza l’abbia sostenuta e un Parlamento l’abbia approvata. Perché è una legge che non si è mai vista né nel Primo né nel Terzo Mondo e nemmeno all’altro mondo. Perché non sta né in cielo né in terra.



Rabbia sull’Irlanda (Maurizio Blondet)

Giu 13th, 2008 | By

Fatto di significato umoristico: da diverse ore a Parigi, sull’edificio di Saint-Cloud che è la sede del Front National, sventola il tricolore. Quello dell’Irlanda. «Stasera siamo tutti irlandesi!», si legge nel proclama emanato da Jean-Marie Le Pen.