Uno schiaffo al negazionismo buono (Cecilia Talamini)
Nov 26th, 2013 | By Faber
Oltre 30 anni fa, gli assassini di Sergio scandivano gli stessi slogan di odio e di morte che sono stati urlati contro la commemorazione dei Caduti della Rsi…
L’ipocrisia di un regime che si autodefinisce “democratico”. Ha timore di proibire la commemorazione dei Caduti, ma per compiacere i trinariciuti ed anacronistici antifascisti vieta l’esposizione di sigle e simboli della Repubblica Sociale Italiana. Come se bastasse un divieto ministeriale a cancellare una gloriosa pagina di storia patria…
Anche quest’anno, alla vigilia del 25 aprile, si avverte un pesante odore di naftalina. Sono le bandiere rosse, pronte ad essere sventolate per festeggiare le tragiche giornate della guerra civile italiana. Ritualmente accompagnate dai consueti slogan di odio e di morte. Neanche l’inesorabile trascorrere di ben 68 anni è servito ad impedire che la storia a senso unico venga utilizzata come strumento di lotta politica. Il 25 aprile evoca una vittoria nazionale che non ci fu, un conflitto che gli stranieri vinsero per conto degli italiani, impegnati nella sanguinosa guerra fratricida, un umiliante trattato di pace, l’infamia dell’8 settembre che generò il ‘to badogliate’ come sinonimo di tradimento, una manichea suddivisione tra buoni e cattivi…
L’imprenditore umbro Brunello Cucinelli ha deciso di condividere 5 milioni di utili della sua azienda coi 783 dipendenti, che nella busta paga di dicembre si troveranno 6.385 euro in più: «Se li meritano, è grazie a loro che l’utile netto è cresciuto del 25%»…
Sono tanti i primati nazionali che la nuova gestione della città di Cagliari sta collezionando. Il Sindaco più bello, le case più confortevoli per i rom, la Giunta più statica, la squadra di calcio più lontana…
Gli insulti, gli sberleffi, gli sfotto’, piú degni dello stadio Olimpico che di Palazzo Chigi, rievocano una certa cultura prevaricante nei confronti degli ‘sconfitti’ che la storia italiana ci ha giá mostrato… Con le debite proporzioni e lungi dal fare paragoni impropri, queste scene fanno tornare alla mente lo scempio dei cadaveri di Benito Mussolini e Claretta Petacci appesi in piazzale Loreto a testa in giú ed oltraggiati oppure la mattanza nel 1945, dopo la fine della guerra, nei confronti dei fascisti, veri o presunti; il terrore impresso nei volti delle ausiliarie della Repubblica Sociale Italiana rapate a zero e trascinate per strada per esporle al pubblico ludibrio oppure le angherie che i profughi istriani subirono quando, cacciati dalle loro terre e privati dei loro beni, vennero sputati ed insultati perchè considerati nemici in fuga dal paradiso comunista.
In questi giorni vari giornali hanno ricordato, per l’ennesima volta, che l’onorevole Violante, quando era presidente della Camera, aveva «legittimato» i ragazzi di Salò che avevano combattuto per ideali in cui credevano in buona fede. Ricordo che allora l’onorevole Tremaglia più di tutti ebbe a compiacersi di quel riconoscimento. In quell’occasione io, ex ragazzo di Salò, detestai l’onorevole Tremaglia e gli altri del suo partito che assunsero atteggiamenti simili ai suoi. Mi sentii inoltre profondamente offeso dall’iniziativa dell’onorevole Violante, con cui avevo avuto sino ad allora rapporti non ostili. Per spiegare il perché di questa mia reazione devo raccontare brevemente la mia storia di ex-ragazzo di Salò.
L’Italia sembra condannata a rimanere inchiodata per l’eternità a polemiche catacombali. Durante il suo viaggio in Israele il sindaco di Roma Alemanno si è rifiutato di considerare, in blocco, il fascismo “il male assoluto” condannando invece, senza se e senza ma, le leggi razziali. Apriticielo. Tutte le suorine di sinistra (oltre che la comunità ebraica), sono risorte, indignate. Veltroni ha affermato: «Non è possibile scindere le sue cose» e, non contento si è dimesso dal Museo della Shoah («Mi ferisce quel tentativo di esprimere un giudizio ‘doppio’ sul fascismo»). Un deputato Pd: «Difficile poter definire come “male assoluto” politico un’esperienza politica che per vent’anni ha soppresso le libertà». E così via. Prima di addentrarci in ragionamenti più complessi facciamo una riflessione semplice. Il fascismo negli anni Trenta ebbe un consenso quasi plebiscitario (“Gli anni del consenso” di Renzo De Felice). È ragionevole pensare che tutti i nostri nonni o padri (non parlo del mio che fece quindici anni di esilio per fuggire al fascismo, dico in generale) fossero tutti dei mascalzoni, dei seguaci del male assoluto, e quindi “male assoluto” essi stessi; mentre noi figli o nipoti saremmo tutti migliori di loro? Ma andiamo.
Non si ritenga oltraggiato Marcello Veneziani, se prendo in prestito alcune righe del suo editoriale che ha commentato l’ennesima ‘svolta’ di Gianfranco Fini: «Ha cambiato opinione, e che lo faccia per convenienza o per carriera personale, non muta la sostanza. E’ lecito cambiare idea, ha tutto il diritto di dire il contrario di quel che pensava fino alla tenera età di quarant’anni quando sognava il ‘fascismo del Duemila’. Anzi, aggiungo a sua discolpa che se dubitate della sua buona fede di antifascista ora, potete dubitare della sua convinzione fascista di ieri: forse davvero non credeva in niente, ieri come oggi; era un fatto superficiale e perciò non gli è costato molto smentirsi in modo così radicale» (1). Concetti che avrei voluto scrivere io, perciò li sottoscrivo. Ma vado oltre, introducendo nel dettaglio – perché restino a futura memoria – alcune delle più riuscite ‘capriole’, degne del miglior circo della politica.