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Fronte della Gioventù, una storia a lungo attesa (Marco Valle)

Gen 27th, 2014 | By

Un libro può diventare una trappola. Un mare procelloso e fascinoso. Se indugi un attimo in più del dovuto sulla battigia, vedi spiaggiarsi sulla scogliera della memoria manciate di ossi di seppia, ondate di “triste meraviglia, cocci aguzzi di bottiglie”. Resti di un naufragio. Un libro può assomigliare ad un oceano profondo e impietoso. Le onde riportano, a volta, spezzoni di vita vissuta che — come Guccini insegna — ti avvolgono come miele: la nostalgia è un sentimento ambiguo e pericoloso. Da evitare. Non sempre, però, riesci a sottrarti alla malia delle maree, al loro richiamo e, allora, ti attardi sul litorale dei ricordi, dove ritrovi resti di bandiere stracciate, polene marcite, vele strappate, pennoni spezzati. Malinconia mista a tenerezza e un po’ d’incazzatura. Un libro — centinaia di fogli, migliaia di righe, decine di capitoli — talvolta non ti risparmia nulla. Soprattutto se chi scrive ti ricorda l’affondamento del grande battello tricolore, un vascello un po’ vecchio e scassato, ma abbastanza dignitoso. All’improvviso dal gorgo riaffiorano carte, date, nomi. Volti. In lontananza scorgi nocchieri, nostromi, capitani, ammiragli che abbandonano il povero relitto incagliato sulla scogliera. I mozzi, no. Loro sono affogati mentre i marinai annaspano tra le onde, ma non importa. È il destino della “bassa forza”, quelli che faticano e sgobbano. Le scialuppe — poche, come quelle del Titanic — sono piene di gallonati comandanti, incapaci e impomatati come uno Schettino qualsiasi. Un tempo, affollavano la plancia e applaudivano il grand’ammiraglio — l’infallibile che ha fallito —; oggi tutti, compreso il navarca supremo, asciugano i loro panni sulla spiaggia e fissano l’orizzonte con occhi liquidi. Disorientati. E disoccupati.



Il lungo viaggio della destra triestina (Marco Valle)

Lug 3rd, 2013 | By

Raccontare sessantott’anni di passioni, tensioni, idee, mentalità attraverso centinaia di microstorie e di biografie private non è cosa semplice. Se poi l’oggetto di studio è una città intricata come Trieste e, soprattutto, un segmento complesso come il neofascismo e/o il postfascismo giuliano il compito è decisamente complesso. Complimenti dunque a Pietro Comelli e Andrea Vezzà, due giovani ricercatori, autori di “Trieste a destra – Viaggio nelle idee diventate azione lontano da Roma” (Edizioni Il Murice, Trieste Pg 427 – Euro 22.00) che con perseveranza e libertà intellettuale hanno esplorato un’esperienza plurale, generosa, a volte contraddittoria ma certamente originale. A differenza delle vicende nazionali, a Trieste la “destra” (termine limitativo ma obbligato) ebbe molte espressioni, tanti volti, un percorso interno particolare e sempre intrecciato, riprendendo Marc Bloch, ad un “fondo permanente”: la tragedia del confine orientale.



Urge una revisione

Mag 28th, 2008 | By

Domenica 11 maggio resterà una data memorabile. Dopo quasi vent’anni consecutivi di incontrastato dominio ai vertici del Movimento Sociale Italiano (appena una parentesi di Pino Rauti nel 1990/91) e di Alleanza Nazionale, Gianfranco Fini ha deciso. «Non parteciperò più a riunioni di partito, non salirò più al mio ufficio di via della Scrofa se non per salutare gli amici» ed essendosi finalmente reso conto che «non siamo più figli di un Dio minore», ha preferito dedicare i suoi prossimi cinque anni a dirigere i lavori parlamentari a Montecitorio, recuperando dal dimenticatoio l’istituto delle dimissioni. Come per ogni addio che si rispetti, non è mancata una buona dose di commozione, riservata «agli amici che non ci sono più: Marcello, Luciano, Marzio, Almerigo, Nicola». Quelli che il Corriere della Sera ha definito il “Pantheon di Gianfranco”. Cinque dirigenti missini di valore, che nessuno può aver dimenticato. Neanche io.